C’è un momento, spesso silenzioso e carico di angoscia, in cui una figlia o un figlio si sente dire: “Può riportarlo a casa”.
Ma casa non ha letti attrezzati. Non ha assistenza. Non ha turni di personale. Ha solo affetto, stanchezza e la paura di non farcela.
Eppure, tutto è già stato riconosciuto: la non autosufficienza, il bisogno, il piano assistenziale. C’è tutto, tranne l’unica cosa che servirebbe: l’assistenza vera.
Quella che deve garantire l’ASL.
Ma quando non arriva, si può — e si deve — reagire. Legalmente. Civilmente. Umanamente.
Il punto di diritto:
Se un piano di assistenza domiciliare è già stato approvato, o se la persona fragile è in lista d’attesa per un servizio riconosciuto, l’ASL ha l’obbligo giuridico di attuarlo.
Non è un favore, è un dovere. E non è la famiglia a dover trovare soluzioni “creative” o a farsi carico di ciò che lo Stato ha già riconosciuto come necessario.
E se nel frattempo l’anziano viene dimesso senza assistenza attiva, la famiglia può — e ha il diritto di — riportarlo in pronto soccorso e rifiutare le dimissioni.
Perché senza una rete reale di cura, la dimissione non è una soluzione: è un rischio. E la responsabilità non ricade sulla famiglia, ma su chi non ha dato seguito a un impegno formale.
Cosa puoi fare, subito.
Se il piano è stato approvato, pretendine l’attuazione. Anche per vie legali.
Se la situazione è insostenibile, riporta la persona fragile al PS e segnala che non vi sono le condizioni minime per garantire assistenza a domicilio.
E soprattutto: non sentirti in colpa.
Sei parte lesa, non parte mancante.