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Sono (giustamente) di grande interesse mediatico tutte le vicende legate alla morte di bambini in seguito ad atti emolutivi di pratiche e giochi pericolosi proposti in rete, specie su TikTok e Youtube.

Noi genitori ci sentiamo impotenti difronte a tali fenomeni allarmanti, non sappiamo come tutelare i nostri figli, come agire per il meglio nel loro interesse, per evitare che cadano nel rituale della morte per gioco.

Esiste una tutela giuridica? E’ possibile prevenire tali casi? E’ possibile ottenere giustizia?

L’argomento è molto ampio e dibattuto. In questa sede, ci limeteramo ad affrontare, ovviamente sotto lo stretto profilo giuridico, il tema dell’obbligo di monitoraggio della rete da parte degli internet Service Provider e, in particolare, degli hosting provider, nonchè, della sussitenza o meno di una responsabilità penale di coloro che caricano video di pratiche estremamente pericolose da cui è derivata la morte a seguito della loro visione.

Sulla questione, lo scorso mese, con decreto del 21 marzo 2021, è intervento il GIP del Tribunale di Milano che ha affermato alcuni importanti principi.

La vicenda giudiziaria trae origine dalla tragica scomparsa di un quattordicenne il cui corpo veniva rinvenuto, senza vita, dalla collaboratrice domestica della famiglia, all’interno della sua cameretta, soffocato da una corda legata ad una traversa del letto a castello. Venivano, quindi, sequestrati e disaminati il diario e il telefonino del ragazzo che, si scoprì successivamente, aveva visualizzato un video sul portale Youtube dal Titolo “5 Challenge Pericolossisime che i ragazzi fanno per internet” caricato sul canale “Infinito”. In tale video venivano descritte cinque pratiche estremamente pericolose messe in atto dai ragazzi al fine di riprendersi e “postare” i video sulla rete. Tra le pratiche descritte, la “sfida del blackout” – anche detta “space monkey” o “shoking game” – basata sulla volontaria adozione di tecniche di soffocamento, finalizzate a provocare transitoria perdita di coscienza, per poi risvegliarsi in uno stato di “ebbrezza”.

Dalle indagini svolte emergeva che:

1. il ragazzo non aveva mai sofferto di disturbi di natura psichica o depressiva e non aveva manifestato significativi disagi in epoca prossima al fatto;

2. l’intento dell’indagato, ovvero chi aveva caricato il video, non era affatto quello di incoraggiare l’emulazione della sfida tanto è vero che, nello stesso video, viene detto, a chiare parole, di non provare ad imitare queste persone, anche mediante l’inserimento di immagini di un giovane in ospedale, in gravi condizioni, proprio per evidenziare l’esistenza di una consistente, concreta e reale, probabilità che, a tale pratica, potesse seguire la morte.

Ora, sulla base di quanto sopra, il Tribunale di Milano ha archiviato le indagini sostenendo l’insussistenza sia del reato di istigazione al suicidio (non esistendo nel ragazzo alcuna volontà suicidiaria da rafforzare e/o agevolare e la sfida era finalizzata solo a sperimentare emozioni), come pure quello di omicidio colposo (non essendo configurabile alcuna colpa in chi ha caricato i video, nè alcun nesso causale essendo, peraltro, il fatto avvenuto a distanza di due anni dal caricamento del video incriminato).

Per quanto riguarda invece il c.d. obbligo di monitoraggio, il GIP del Tribunale di Milano ha pure escluso, in capo agli internet Service Provider, un illecito amministrativo, ritenendo adeguate le procedure aziendali messe in atto che, pur non prevedendo un monitoraggio preventivo dei contenuti, prevede la segnalazione da parte di ciascun utente della violazione di regole della community.

Ovviamente, questo è un caso con la sua soluzione giurisprudenziale e questo articolo non è una consulenza legale, nè può  sostituirsi ad essa perchè non tutti i casi sono uguali e l’invito è sempre lo stesso: quello di chiedere un parere al vostro legale di fiducia se vittime di vicende simili.

 

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