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In quarantena è più facile cedere alla tentazione di spiare le conversazioni sullo smartphone del coniuge o di qualunque altra persona.

Bisogna tuttavia essere ben consapevoli che questo comportamento che, ai più, può sembrare innocuo, costituisce reato.

Chi, infatti, senza il permesso del legittimo proprietario, legge email, sms ed ogni altro tipo di informazione, compie una violazione della privacy, un accesso abusivo a sistema informatico e, in alcuni casi, una rapina.

Il reato è integrato anche quando l’intrusione ha la finalità di provare in Tribunale il tradimento del coniuge ai fini dell’addebito della separazione.

Secondo l’art. 15 della Costituzione, infatti:“la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili.

Così, nello specifico, chi si appropria del cellulare o accede nel profilo Facebook del coniuge o nel computer per spiarne le conversazioni commette il reato di accesso abusivo a sistema informatico ex art. 615 del codice penale ed è punito con la reclusione fino a tre anni.

Inoltre, se durante una lite, in un momento di rabbia, si dovesse avere la malaugurata idea di sottrarre il telefono del compagno/a o di altro dispositivo elettronico informatico con minaccia o violenza, il consiglio è quello di desistere immediatamente perché si sta commettendo una vera e propria rapina!

Come spesso accade, tuttavia, a conferma che nel diritto non vi è certezza, non mancano i pareri contrari.

Il Tribunale di Roma nel 2016, per esempio, ha stabilito che non costituisce reato spiare le conversazioni del partner convivente quando il cellulare viene lasciato a portata di mano, poiché quando si convive la privacy si riduce. Insomma, è come se l’autorizzazione ad accedere al proprio smartphone o al proprio profilo fosse stata rilasciata in forma presuntiva e tacita. Che si vada poi a provare il contrario!

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