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Oggi, 21 marzo 2020 vengono imposte agli italiani nuove e più stringenti misure di contenimento del virus COVID-19.

Salvo talune eccezioni, vengono sospese tutte le attività commerciali e di artigianato. Gli studi professionali vengono chiusi.

Un’economia in ginocchio. La popolazione si chiede come farà a rispettare le scadenze, a pagare gli affitti, le rette della scuola, le attività ricreative.

Il governo, al momento, su questi temi pare non essere intervenuto in maniera risolutiva.

Dobbiamo quindi cercare aiuto nella lettura del nostro codice civile per trovare la soluzione normativa alle nostre esigenze.

In questo articolo, ci chiediamo infatti se le misure adottate dalle autorità per contrastare la diffusione del COVID-19, possano costituire valida causa di impossibilità o di sopravvenuta onerosità delle prestazioni contrattuali assunte dai consumatori, dalle imprese e dalle famiglie.

In altri termini, ci domandiamo se si possono o meno sospendere o ritenere non più dovuti taluni pagamenti.

Per fare ciò, tutti i contratti dovranno essere scrupolosamente valutati ed esaminati caso per caso, tenendo conto di una pluralità di fattori quali, a titolo meramente esemplificativo, i fatti portati a sostegno del ritardo e/o dell’inadempimento contrattuale, l’incidenza specifica degli stessi sulla prestazione, l’assenza di soluzioni alternative per l’adempimento, la portata del testo contrattuale.

Di seguito, le possibili vie da seguire.

Innanzi tutto, evidenziamo un articolo del codice civile, l’art. 1256 (impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore) , secondo il quale l’obbligazione si estingue (cioè, non è più dovuto il pagamento) quando, per causa non imputabile al debitore, la prestazione (ovvero, il pagamento) diventa “impossibile”.

Se, invece, tale impossibilità è solo temporanea, il debitore non è responsabile del ritardo nel pagamento ma, cessata la suddetta impossibilità, deve sempre provvedere al pagamento.

L’impossibilità sopravvenuta va ben distinta dall’eccessiva onerosità sopravvenuta che rendendo più “oneroso” il pagamento, consente al debitore di chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo .

Non solo, la pandemia potrebbe costituire altresì un tipico caso di “forza maggiore” con conseguente esonero dalla responsabilità o di risoluzione del contratto con diritto alla restituzione dell’eventuale anticipo.

Tutto ciò, nella pratica, cosa potrebbe significare?

Nell’ambito dell’affitto o della locazione, l’inquilino di un locale commerciale o abitativo potrebbe recedere immediatamente, prima cioè della scadenza, dando comunque il preavviso di sei mesi.


In ambiente lavorativo, la forza maggiore è una causa di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ossia per ragioni di crisi o di organizzazione aziendale.

Immaginiamo poi una persona che firma un contratto preliminare per l’acquisto di una casa, ma il venditore non può più trasferirsi per via delle restrizioni alla libertà da coronavirus: anche questa è un’ipotesi in cui l’eventuale slittamento del rogito non implica alcuna responsabilità.

Stessa sorte si potrebbe ipotizzare per la retta dell’asilo, come della scuola di musica o di una palestra. In tutti questi casi, infatti, sarebbe possibile sciogliersi dal contratto e non pagare il residuo. Per coloro, invece, che hanno già pagato tutto in un’unica soluzione, questi hanno diritto alla restituzione parziale del prezzo per le ore non godute oppure il diritto al recupero delle lezioni perse.

È tuttavia doveroso precisare come non risulti automatico il diritto ad usufruire di una riduzione del prezzo o a non pagare interamente la somma dovuta. Per ottenere la riduzione non resta che chiedere all’altra parte di rivedere le somme dovute per vie ordinarie con trattativa amichevole e transattiva o convocare la controparte in mediazione in caso di rifiuto. In ultima istanza, non rimane che la via giudiziale sostenendo una delle ipotesi sopra elencate.


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