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Il lavoro del giornalista non si può improvvisare.

Fare il giornalista esige l’adempimento di specifici oneri di verifica e controllo circa la veridicità e l’eventuale evoluzione della notizia, anche se la fonte di riferimento ha natura giudiziaria.

Andiamo al caso concreto.

Gli eredi di un noto avvocato citavano in giudizio il giornalista, il direttore del giornale e l’editore, chiedendone la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale a seguito della diffusione di una notizia diffamatoria nei confronti del de cuius, contenuto in un articolo pubblicato sia in forma cartacea che on line.

L’articolo qualificava l’avvocato come soggetto “in passato indagato per traffico d’armi”, circostanza effettivamente riportata in un atto giudiziario, ma non rispondente al vero, tant’è che il legale aveva successivamente ottenuto la cancellazione del provvedimento, con relativa annotazione.

Annotazione che, tuttavia, deve essere sfuggita al giornalista.

Svista gravissima, giacché i giudici di legittimità hanno ritenuto integrato, il reato di diffamazione.

Secondo la Cassazione (Cass. civ. ordinanza n. 21969/2020), infatti, la natura della fonte non esonera mai il giornalista dall’onere di esaminare, controllare e verificare la notizia, così da sopprimere ogni dubbio sulla veridicità.

Sotto questo profilo, soprattutto quando la notizia è diffusa dopo un ampio lasso di tempo, è doveroso da parte del giornalista un aggiornamento correlato alla necessità di verificare l’evoluzione della notizia stessa.

In conclusione, alla luce del predetto principio, nel rigettare il ricorso, la Cassazione ha confermato la decisione della Corte di Appello di condanna dei convenuti a risarcire il danno, quantificato in € 30.000,00, oltre accessori e spese processuali liquidate in € 5.200,00.

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